PMI italiane e reshoring: opportunità, rischi e competenze
La pandemia, le tensioni geopolitiche e l’instabilità delle catene globali hanno riacceso l’interesse per reshoring e nearshoring.
Le PMI italiane valutano sempre più il rientro di produzioni in Italia o il loro trasferimento in Europa, per ridurre rischi e rafforzare la resilienza.
Queste scelte implicano maggior controllo del mercato, ma anche aumento dei costi, tempi di implementazione e necessità di competenze manageriali specifiche.
L’articolo analizza scenari, settori coinvolti e ruolo dei fractional manager.
Il ritorno di reshoring e nearshoring
Reshoring e nearshoring sono strategie per riportare le produzioni in Italia o in Europa, nate per ridurre rischi e fragilità delle catene globali dopo pandemia, guerre e aumento dei costi energetici.
Contesto
Negli ultimi anni le fragilità delle catene globali hanno riportato al centro il tema del reshoring e del nearshoring, due strategie che sempre più PMI italiane stanno considerando per rafforzare la resilienza.
Dopo decenni di delocalizzazione verso l’Asia e altri Paesi a basso costo, le priorità sono cambiate: la continuità degli approvvigionamenti, la stabilità dei tempi di consegna e la riduzione dei rischi geopolitici hanno assunto un ruolo determinante nelle scelte strategiche.
Definizione di reshoring, nearshoring e offshoring
- Offshoring (o delocalizzazione): trasferimento di produzioni in Paesi lontani, di norma extraeuropei, con l’obiettivo di ridurre i costi. È stato il modello dominante dagli anni Novanta in poi, con ampio ricorso a Cina e Sud-Est asiatico.
- Nearshoring (rilocalizzazione in Paesi vicini): spostamento della produzione in aree più prossime al mercato di sbocco, come Europa orientale o Mediterraneo. Permette di contenere i rischi logistici senza riportare tutto in Italia.
- Reshoring (o delocalizzazione inversa): ritorno nel Paese d’origine di attività produttive o forniture precedentemente spostate all’estero.
Questi tre approcci rappresentano alternative strategiche diverse, ciascuna con impatti su costi, qualità, rischio e rapporto con i mercati di sbocco.
Scelte di reshoring e nearshoring: le cause
Le scelte di rilocalizzazione negli ultimi anni sono state accelerate da una combinazione di fattori che hanno messo in discussione la sostenibilità delle catene globali.
- La pandemia ha interrotto forniture internazionali e rivelato la vulnerabilità dei modelli basati su fornitori lontani.
- I conflitti hanno accresciuto l’incertezza geopolitica e i rischi di interruzioni commerciali
- L’aumento dei costi energetici, soprattutto in Europa, ha ridotto la convenienza di alcune produzioni estere
- Le difficoltà logistiche e l’impennata dei noli marittimi hanno reso strategica la prossimità geografica.
I dati della deglobalizzazione
Le ricerche mostrano che il reshoring, dopo decenni di globalizzazione, sta avvenendo su scala globale.
Secondo il Centro Studi Confindustria, In Italia il 21% delle imprese che avevano delocalizzato ha già riportato parte della produzione, e un ulteriore 12% prevede di farlo nei prossimi 3-5 anni.
In Europa, il 47% degli acquirenti ha aumentato pratiche di nearshoring e il 22% ha scelto il reshoring nell’ultimo anno.
A livello globale, il 56% delle aziende ha investito in reshoring o nearshoring nel 2025, rispetto al 42% del 2024 (Capgemini Research Institute, 2025).
Questi numeri dimostrano che la tendenza non è episodica ma strutturale e coinvolge in modo crescente anche le piccole e medie imprese.
Per le PMI italiane il ritorno di attenzione a reshoring e nearshoring significa rivalutare il bilanciamento tra costo e rischio. Le imprese devono iniziare a mappare la propria filiera e identificare i punti più vulnerabili, così da capire se il rientro in Italia o in Europa possa generare vantaggi competitivi concreti.
Reshoring: riportare la produzione in Italia
Il Reshoring offre alle PMI più vicinanza al mercato e maggior controllo della filiera, ma comporta costi e complessità da valutare con attenzione.
Vantaggi del reshoring per le PMI
Riportare le produzioni in Italia permette di ridurre la distanza con il mercato interno e di rafforzare la qualità percepita del prodotto.
Le PMI, in particolare, possono trarre benefici in termini di:
- controllo diretto sui processi, con maggiore trasparenza nella gestione della filiera
- valorizzazione del Made in Italy, che rappresenta un elemento competitivo soprattutto nei settori moda, agroalimentare e meccanica
- riduzione del rischio geopolitico, grazie alla dipendenza minore da Paesi instabili o soggetti a restrizioni commerciali
- rafforzamento della filiera locale, creando opportunità per fornitori e partner italiani
Questi aspetti rendono il reshoring una leva strategica per differenziarsi in mercati saturi, migliorare la reputazione del brand e rispondere a consumatori sempre più attenti alla provenienza dei prodotti.
Reshoring: criticità principali
Nonostante i benefici, il reshoring presenta anche limiti che le PMI devono valutare attentamente:
- costi locali di produzione più elevati, legati a salari, energia e normative stringenti
- carenza di manodopera qualificata in alcuni settori, che può rallentare la ripresa produttiva
- necessità di investimenti in impianti, tecnologie e automazione per garantire competitività
- complessità burocratiche e tempi lunghi per l’avvio di nuovi stabilimenti o la riconversione di siti produttivi esistenti
Per molte PMI il reshoring non è quindi una soluzione immediata, ma un progetto che richiede pianificazione accurata e valutazioni economico-finanziarie di medio periodo.
In conclusione, il reshoring può rafforzare la competitività delle PMI italiane solo se accompagnato da investimenti mirati e da un’analisi realistica dei costi.
Le imprese che lo valutano devono prima verificare la capacità del mercato interno di assorbire i maggiori costi e prevedere interventi di automazione e formazione per colmare i gap produttivi.
Nearshoring: riportare la produzione in Europa
Per le PMI il nearshoring rappresenta una soluzione intermedia, di compromesso: mantenere la produzione in Paesi vicini riduce tempi e rischi senza dover affrontare i costi di un rientro completo in Italia.
Vantaggi del nearshoring per le PMI
Spostare le attività in Europa orientale o nel Mediterraneo permette di bilanciare efficienza e resilienza. I principali vantaggi sono:
- mercati integrati e maggiore stabilità grazie al quadro normativo europeo
- tempi di consegna più rapidi e logistica meno esposta a shock globali
- costi operativi e salariali spesso inferiori rispetto all’Italia
- vicinanza culturale e fuso orario compatibile, che semplificano la gestione dei rapporti commerciali
Per molte PMI, aprire stabilimenti o collaborare con fornitori in Polonia, Romania o nei Balcani significa contenere costi e mantenere al tempo stesso un legame stretto con il mercato europeo.
Nearshoring: i rischi da considerare
Anche il nearshoring presenta criticità che non vanno sottovalutate:
- competizione tra Paesi per attrarre investimenti, con incentivi variabili e regole non sempre stabili
- differenze fiscali e normative che richiedono consulenza legale e amministrativa specializzata
- rischio di concentrare la produzione in un singolo Paese vicino, che potrebbe comunque essere esposto a instabilità politica o economica
- carenze infrastrutturali o tensioni sociali in alcune aree emergenti dell’Europa orientale
Per le PMI italiane il nearshoring diventa quindi una soluzione valida solo se supportata da analisi accurate e da una valutazione attenta delle condizioni locali.
In conclusione, il nearshoring offre alle PMI italiane un compromesso sostenibile tra costi e resilienza, ma va gestito con una strategia chiara. Prima di scegliere il Paese ospitante è necessario valutare incentivi, normative e solidità delle infrastrutture per evitare nuove forme di dipendenza.
PMI: come scegliere tra reshoring e nearshoring
La scelta tra reshoring e nearshoring dipende dagli obiettivi dell’impresa, dalla natura del prodotto e dalla capacità di sostenere costi e rischi diversi.
Priorità aziendali
Ogni PMI deve partire dalle proprie priorità strategiche.
- Chi punta a valorizzare il Made in Italy e a rafforzare il controllo diretto troverà nel reshoring la soluzione più coerente.
- Chi invece cerca un compromesso tra riduzione dei rischi e sostenibilità dei costi può orientarsi verso il nearshoring.
L’elemento chiave è la coerenza con il posizionamento e con i mercati serviti.
Natura del prodotto
La tipologia di prodotto influenza in modo decisivo la scelta.
- Prodotti il cui valore dipende fortemente dall’immagine del brand e dalla percezione di qualità associata (moda, lusso, agroalimentare) beneficiano del valore aggiunto del Made in Italy, quindi il reshoring può generare vantaggi competitivi immediati.
- Prodotti standardizzati o destinati a mercati internazionali di largo consumo si prestano meglio al nearshoring, dove conta l’efficienza della logistica e il contenimento dei costi.
- Prodotti tecnologici e di precisione richiedono filiere affidabili e fornitori qualificati: qui la scelta dipende dal livello di competenze disponibili nei Paesi considerati.
Costi
La valutazione economica è fondamentale nel guidare le scelte.
- Il reshoring comporta salari e costi energetici più alti, insieme a investimenti iniziali in impianti e automazione.
- Il nearshoring offre margini di risparmio, ma implica costi di gestione legati a normative, trasferimenti e monitoraggio delle operations.
Le PMI devono calcolare il punto di equilibrio, considerando non solo i costi diretti ma anche i rischi potenziali di interruzione delle forniture.
Rischi e stabilità
Un altro criterio è la stabilità del contesto operativo.
- Il reshoring riduce l’esposizione a tensioni geopolitiche e garantisce maggiore prevedibilità normativa, ma non elimina del tutto rischi interni come burocrazia e rigidità del mercato del lavoro.
- Il nearshoring mantiene alcuni rischi geopolitici, fiscali e infrastrutturali, che variano da Paese a Paese e devono essere valutati con attenzione.
In conclusione, la decisione tra reshoring e nearshoring va calibrata su priorità, prodotto, costi e rischi specifici dell’impresa. Una PMI deve costruire una matrice di valutazione che metta a confronto opzioni diverse, tenendo conto non solo della convenienza immediata ma anche della sostenibilità a lungo termine.
Implementare un processo di reshoring efficace
Un progetto di reshoring richiede pianificazione accurata: riportare la produzione in Italia senza una strategia graduale rischia di generare costi insostenibili e blocchi operativi.
Fasi principali e approccio graduale
Un percorso di reshoring efficace non si realizza in un’unica fase, ma attraverso step progressivi:
- analisi preliminare della filiera per individuare i punti critici da rilocalizzare
- valutazione economico-finanziaria, con simulazioni di costi e scenari di medio periodo
- selezione dei siti produttivi più idonei, considerando infrastrutture, accesso a manodopera e incentivi locali
- introduzione graduale di nuove linee produttive in Italia, evitando trasferimenti bruschi che potrebbero interrompere la continuità
- monitoraggio continuo dei risultati, con aggiustamenti su processi e fornitori
Questo approccio permette di ridurre il rischio e distribuire gli investimenti in un arco temporale sostenibile.
Errori da evitare
Le PMI che affrontano un progetto di reshoring possono commettere errori tipici, che ne compromettono la riuscita:
- sottovalutare i costi indiretti, come logistica, formazione del personale e tempi di inattività
- trascurare la pianificazione della forza lavoro, con conseguenti carenze di competenze in fasi critiche
- concentrare gli investimenti solo sugli impianti, senza rafforzare governance, digitalizzazione e processi gestionali
- affidarsi a decisioni reattive (es. emergenza geopolitica) senza una visione di lungo periodo
Evitare questi errori significa trasformare il reshoring da scelta tattica a leva strategica.
In conclusione, per una PMI il reshoring non deve essere una risposta impulsiva a crisi esterne, ma un progetto strutturato. Pianificare per fasi, investire in competenze e monitorare i risultati sono condizioni essenziali per garantire continuità e competitività.
I settori italiani più coinvolti
Il fenomeno del reshoring e del nearshoring non riguarda tutti i comparti allo stesso modo: moda, meccanica e automotive sono tra i settori più esposti e attivi in questo processo.
Moda e lusso
Il settore moda e lusso è stato tra i primi a riportare produzioni in Italia. La ragione principale è la valorizzazione del Made in Italy, che rappresenta un asset competitivo globale.
Riavvicinare le produzioni consente di:
- garantire qualità artigianale e standard elevati
- controllare meglio i tempi di consegna in un mercato sempre più rapido
- ridurre rischi reputazionali legati alla delocalizzazione in Paesi con standard etici o ambientali inferiori
Per le PMI della moda, il reshoring è spesso legato anche alla necessità di rafforzare la filiera di distretti storici come Toscana, Marche o Veneto.
Manifattura e meccanica
Il settore manifatturiero e meccanico ha subito forti pressioni per la continuità delle forniture, in particolare dopo la pandemia e le crisi logistiche globali. Riportare parte della produzione o affidarsi a fornitori europei più vicini significa:
- ridurre la dipendenza da fornitori asiatici
- migliorare la gestione dei tempi e dei costi di trasporto
- garantire maggiore flessibilità per produzioni a piccoli lotti o personalizzate
Le PMI meccaniche, spesso legate a produzioni di nicchia o componentistica specializzata, trovano nel reshoring un modo per rafforzare la propria affidabilità presso i clienti industriali.
Automotive e componentistica
L’automotive è tra i comparti più colpiti dalle tensioni globali, dalle carenze di semiconduttori alle incertezze geopolitiche. Molte aziende della filiera hanno avviato strategie di nearshoring per stabilizzare la supply chain. Le PMI italiane della componentistica, in particolare, si trovano spinte a:
- diversificare i fornitori
- ridurre i tempi di approvvigionamento
- garantire maggiore integrazione con i produttori europei
In questo settore la resilienza della filiera è diventata una priorità tanto quanto la riduzione dei costi.
Concludendo: moda, meccanica e automotive sono i settori dove reshoring e nearshoring stanno incidendo di più, ma il fenomeno tocca trasversalmente l’intero tessuto manifatturiero italiano. Le PMI devono analizzare la propria posizione di filiera e capire se anticipare il cambiamento possa trasformarsi in vantaggio competitivo.
Costi e tempi medi di un progetto di reshoring
Il reshoring non ha costi e tempi standard: ogni progetto varia in base al settore, alle dimensioni dell’impresa e al grado di rilocalizzazione.
Di seguito abbiamo analizzato i fattori che incidono maggiormente:
Costi
Costi e investimenti dipendono dalle caratteristiche del progetto specifico:
- investimenti in nuovi impianti o riconversione di siti produttivi esistenti
- adeguamento tecnologico e automazione per garantire competitività rispetto ai Paesi a basso costo
- formazione della manodopera e inserimento di nuove competenze specialistiche
- costi indiretti legati a burocrazia, consulenze legali e fiscali, autorizzazioni ambientali
- spese di transizione, come doppie produzioni temporanee o interruzioni di fornitura durante il passaggio
Tempi
I tempi di realizzazione sono influenzati da variabili quali:
- complessità della filiera e numero di fornitori da riallineare
- disponibilità di siti produttivi idonei sul territorio nazionale
- accesso a incentivi pubblici e velocità dei processi autorizzativi
- grado di digitalizzazione e capacità dell’impresa di integrare nuove tecnologie
- dimensioni del progetto: spostare una singola linea produttiva richiede tempi molto diversi rispetto a un intero stabilimento
In conclusione, serve fare una valutazione ad hoc e costruire un piano specifico. Questo approccio consente di ridurre i rischi di ritardi e di garantire sostenibilità economica nel medio periodo.
Oltre il progetto: verso una strategia di lungo periodo
Il reshoring va oltre l'intervento tattico. Per essere efficace deve diventare parte di una strategia industriale che rafforzi la posizione dell’impresa nel tempo.
Dal rientro temporaneo alla revisione delle politiche di internazionalizzazione
Molte PMI scelgono di riportare in Italia una parte della produzione come risposta a crisi logistiche o geopolitiche.
Se questa scelta rimane un intervento isolato, il beneficio rischia di essere solo temporaneo.
Perché il reshoring porti valore stabile deve inserirsi in una revisione più ampia delle politiche di internazionalizzazione.
L’internazionalizzazione d’impresa è il processo attraverso cui un’azienda organizza e sviluppa le proprie attività oltre i confini nazionali: comprende la scelta dei mercati di sbocco, la definizione delle partnership, la selezione dei fornitori in diversi Paesi e le decisioni su dove localizzare o rilocalizzare la produzione.
In quest’ottica, il reshoring trova senso se è accompagnato da:
- valutazione periodica dei mercati di sbocco e dei rischi associati
- diversificazione dei fornitori, per ridurre dipendenze da singole aree geografiche
- integrazione con la strategia commerciale, così che la produzione più vicina rafforzi anche il posizionamento del brand
- investimento continuo in automazione e competenze, per mantenere competitività anche producendo in Italia
In conclusione, il reshoring non va inteso come un "ritorno al passato", ma come parte di una strategia di medio-lungo periodo che aiuti le PMI a costruire filiere più resilienti, sostenibili e allineate con le nuove condizioni dei mercati internazionali.
Competenze necessarie per il reshoring
Senza le giuste competenze il reshoring diventa un rischio: servono capacità tecniche, gestionali e normative per riprogettare filiera, impianti e organizzazione in modo sostenibile.
Competenze digitali e automazione
Per produrre in Italia con margini competitivi serve un forte salto tecnologico.
Le priorità operative sono:
- mappare processi e dati, definendo un’architettura integrata tra ERP, MES, APS, PLM e strumenti di qualità
- attivare tracciabilità end-to-end con IoT/IIoT, sensori in linea, serializzazione e data lake per analisi real time
- introdurre automazione e robotica dove c’è impatto su produttività e sicurezza, con analisi del ritorno per stazione e per linea
- digitalizzare acquisti e logistica con e-procurement, EDI, WMS/TMS e portali fornitori per ridurre tempi di ciclo e errori
- misurare OEE, scarti e fermi macchina per guidare il miglioramento continuo e il capacity planning
Risultati attesi: riduzione dei tempi di attraversamento, maggiore affidabilità delle consegne, controllo dei costi unitari e qualità stabile.
Change management
Il rientro produttivo cambia strumenti, ruoli e abitudini.
La gestione del cambiamento deve:
- definire uno sponsor interno, un comitato guida e una roadmap con obiettivi per trimestre
- mappare gli stakeholder e i bisogni formativi per ogni reparto, con percorsi di upskilling mirati
- allineare job description, responsabilità e interfacce tra funzioni, evitando duplicazioni e zone grigie
- progettare la comunicazione interna: perché si cambia, cosa cambia, quando, come misureremo i risultati
- predisporre un piano di adozione con coaching on the job, shadowing e momenti di feedback strutturati
Risultati attesi: adozione dei nuovi processi, minori resistenze interne, tempi più rapidi di messa a regime, riduzione errori.
Risk management
Il reshoring ridisegna il profilo di rischio.
Occorre una figura capace di:
- identificare e classificare i rischi (fornitori, capacità interna, compliance, energia, valute, eventi geopolitici)
- misurare probabilità e impatto con heatmap e scenari, definendo soglie di tolleranza e piani di risposta
- implementare leve di mitigazione: contratti con SLA e penali, clausole di forza maggiore, ...
- predisporre business continuity e disaster recovery per IT e produzione, con test periodici
- monitorare segnali deboli della filiera attraverso indicatori di anticipo (lead time anomali, qualità in calo, tensioni sui prezzi)
Risultati attesi: continuità operativa anche in condizioni avverse e decisioni di investimento coerenti con l’appetito al rischio.
Competenze legali, fiscali e normative
Il rientro richiede conformità piena alle regole italiane ed europee. Le aree critiche da presidiare:
- contrattualistica con fornitori e clienti, tutela della proprietà intellettuale, NDA (accordi di riservatezza) e gestione dei contenziosi
- compliance ambientale e sicurezza del lavoro, autorizzazioni e iter con enti preposti
- regole doganali e origine preferenziale dei prodotti, etichettatura e marcature richieste dai mercati di sbocco
- accesso a incentivi nazionali e regionali, corretta pianificazione fiscale e gestione documentale a supporto degli aiuti
Risultati attesi: conformità piena a norme e contratti, accesso sicuro agli incentivi, riduzione di contenziosi e costi occulti.
Leadership strategica del CEO e ruolo operativo del COO
La governance è la chiave del successo in un progetto di rilocalizzazione:
- il CEO definisce il business case, i criteri di scelta cosa riportare e quando, obiettivi economici, risk appetite e priorità di portafoglio
- il COO progetta e avvia: make-or-buy, layout e capacity, attrezzaggi, qualità e collaudi, ramp-up produttivo, piano formazione e turn-over competenze
CEO e CEO, insieme istituiscono uno stage-gate di progetto (modello a fasi con verifiche intermedie) dotato di metriche chiare su tempi, costi, qualità e servizio
Risultati attesi: decisioni coerenti con la strategia, esecuzione disciplinata e correzioni rapide in corso d’opera.
Gap di competenze e integrazione esterna
Molte PMI non dispongono internamente di tutte le competenze necessarie. È utile:
- mappare le competenze critiche e costruire una matrice competenze per ruolo e fase del progetto
- attivare partnership con system integrator, centri di competenza e università per colmare i vuoti tecnici
- pianificare recruiting mirato su profili chiave, con onboarding strutturato e obiettivi a 90 giorni
- avviare corsi formativi interni per standardizzare metodi e accelerare la curva di apprendimento
- esternalizzare attività non strategiche in modo selettivo, mantenendo in casa la regia dei processi critici
In conclusione, prima di avviare il reshoring, una PMI dovrebbe definire una roadmap delle competenze con responsabilità chiare, budget dedicati e milestone di adozione.
Solo con tecnologia adeguata, governo del cambiamento, gestione dei rischi, compliance solida e leadership allineata il rientro produttivo diventa sostenibile e genera vantaggio competitivo.
Reshoring: il ruolo dei fractional manager
Per le PMI il ricorso a fractional manager è una soluzione concreta per gestire progetti complessi come il reshoring o il nearshoring, perché consente di accedere a competenze flessibili di alto livello senza appesantire i costi.
Chi è il fractional manager e perché è utile nel reshoring
Il fractional manager è un professionista con esperienza gestionale consolidata che collabora part-time con l’azienda, di solito da 1 a 3 giorni a settimana. Questa formula permette di:
- portare in azienda competenze manageriali specialistiche senza un’assunzione a tempo pieno
- affiancare i manager interni, senza sostituirli, rinforzando la capacità complessiva del team
- presidiare aree critiche del progetto, lasciando all’organizzazione la gestione quotidiana delle attività
- garantire flessibilità di ingaggio, calibrando il contributo sulla durata e la complessità del progetto
Nel contesto del reshoring, i fractional manager possono intervenire quando le competenze interne non sono sufficienti a coprire tutti gli ambiti richiesti, integrando e rafforzando il team aziendale.
Le figure fractional coinvolte nel reshoring
Quando l’impresa non dispone internamente di competenze adeguate, può attivare manager fractional nei seguenti ruoli:
- Fractional COO o Supply Chain Manager: riorganizza i processi produttivi e integra fornitori locali ed europei, garantendo continuità e affidabilità della filiera.
- Fractional CIO: introduce automazione e strumenti digitali, trasformando il reshoring in occasione di modernizzazione dei processi e di aumento dell’efficienza.
- Fractional Change Manager: guida la gestione del cambiamento, facilitando l’adozione dei nuovi modelli organizzativi da parte dei team interni e riducendo le resistenze.
- Fractional Risk Manager: analizza rischi geopolitici, normativi e di fornitura, fornendo strumenti e piani di mitigazione che aumentano la resilienza del progetto.
- Fractional Legal o Fiscal Manager: assicura correttezza di contratti, compliance normativa e fiscalità, supportando l’azienda anche nell’accesso agli incentivi disponibili.
Queste figure possono essere attivate in modo mirato, solo per la durata del progetto, o combinate in un team ibrido a seconda delle necessità.
In conclusione, i fractional manager possono integrare e rafforzare le aree di competenza scoperte, consentendo alla PMI di affrontare il progetto di reshoring con un assetto solido e sostenibile.
Conclusione
Il reshoring e il nearshoring sono scelte che sempre più PMI italiane stanno valutando per ridurre rischi, rafforzare la resilienza e valorizzare il proprio posizionamento.
I progetti di reshoring e nearshoring richiedono competenze avanzate in ambiti diversi e non sempre disponibili internamente.
In questi casi i fractional manager rappresentano una soluzione flessibile ed efficace per integrare e rafforzare i team aziendali, permettendo di affrontare la complessità con strumenti adeguati.
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Domande frequenti
Qual è la differenza tra reshoring e nearshoring?
Il reshoring è il ritorno della produzione in Italia, il nearshoring lo spostamento in Paesi vicini in Europa o nel Mediterraneo.
Perché le PMI valutano sempre di più strategie di reshoring e nearshoring?
Per ridurre rischi legati a crisi geopolitiche, logistica e per avere filiere più resilienti.
Quanto tempo richiede un progetto di reshoring?
Dipende dalla complessità della filiera, dalla disponibilità di siti produttivi, dagli incentivi e dal grado di digitalizzazione.
In quali settori il reshoring è più diffuso?
Moda, meccanica e automotive sono tra i comparti più attivi, ma la tendenza coinvolge anche altre filiere industriali.
Quali ruoli fractional possono supportare il reshoring o il nearshoring?
Fractional COO o Supply Chain Manager per la filiera, Fractional CIO o CDO per automazione e sistemi, Fractional Change Manager per la gestione del cambiamento, Fractional Risk Manager per prevenzione e gestione rischi e Fractional Legal o Fiscal Manager per compliance e incentivi.
Glossario
APS (Advanced Planning and Scheduling – Pianificazione avanzata della produzione): sistemi informatici che ottimizzano la programmazione della produzione, considerando vincoli di capacità, materiali e tempi.
ERP (Enterprise Resource Planning – Sistema gestionale integrato): software che collega e gestisce i dati di tutte le funzioni aziendali, dalla contabilità agli acquisti, fino alla produzione.
MES (Manufacturing Execution System – Sistema di esecuzione della produzione): piattaforme che monitorano in tempo reale lo stato della produzione, l’avanzamento degli ordini e le prestazioni delle linee.
PLM (Product Lifecycle Management – Gestione del ciclo di vita del prodotto): approccio e strumenti che seguono tutte le fasi del prodotto, dalla progettazione al ritiro dal mercato.
IoT/IIoT (Internet of Things / Industrial Internet of Things – Internet delle cose / Internet delle cose industriale): dispositivi e sensori connessi che raccolgono e trasmettono dati in tempo reale da macchine, impianti e processi.
Data lake (Archivio dati centralizzato): sistema che raccoglie e conserva grandi volumi di dati grezzi provenienti da fonti diverse, per analisi successive.
EDI (Electronic Data Interchange – Scambio elettronico di dati): standard che permette a due aziende di scambiarsi documenti (ordini, fatture, bolle) in formato digitale strutturato.
WMS (Warehouse Management System – Sistema di gestione del magazzino): software che ottimizza la gestione delle scorte, i movimenti in magazzino e le spedizioni.
TMS (Transportation Management System – Sistema di gestione dei trasporti): piattaforme per pianificare, eseguire e monitorare le spedizioni e i trasporti.
OEE (Overall Equipment Effectiveness – Efficienza globale degli impianti): indicatore che misura l’efficienza complessiva degli impianti combinando disponibilità, prestazioni e qualità.
KPI (Key Performance Indicators – Indicatori chiave di prestazione): metriche usate per valutare il raggiungimento degli obiettivi aziendali, come tempi, costi e qualità.
Heatmap (Mappa di calore): rappresentazione grafica che mostra probabilità e impatto dei rischi, utile per definire priorità di intervento.
SLA (Service Level Agreement – Accordo sul livello di servizio): impegni contrattuali che definiscono tempi, qualità e modalità di erogazione di un servizio.
Business continuity (Continuità operativa): capacità di un’organizzazione di mantenere le attività essenziali anche durante crisi o interruzioni.
Disaster recovery (Piano di ripristino): insieme di misure per recuperare dati e sistemi IT dopo un’interruzione o un guasto.
NDA (Non-Disclosure Agreement – Accordo di riservatezza): contratto che tutela le informazioni sensibili condivise tra due parti, impedendone la divulgazione.
Make-or-buy (Decisione produrre o acquistare): valutazione strategica per stabilire se realizzare un prodotto internamente o acquistarlo da fornitori esterni.
Stage-gate (Metodo a fasi con verifiche intermedie): modello di gestione dei progetti che prevede il passaggio attraverso fasi con controlli e decisioni prima di avanzare.
Fonti
- Capgemini Research Institute (2025), Reindustrialization Report, Edition 2. https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2025/03/Final-Web-Version-Report-Reindustrialization-Edition-2.pdf
- Centro Studi Confindustria (2023), Strategie internazionali delle imprese italiane. https://www.confindustriasicilia.it/wp-content/uploads/2023/09/Nota_CSC_Strategie_internazionali_imprese_italiane_090923_Confindustria.pdf